Le concessioni demaniali rappresentano un tema di grande rilevanza nell’ordinamento giuridico italiano, soprattutto per il loro impatto sullo sviluppo economico e per i riflessi della normativa europea.


Cosa sono le concessioni demaniali?

Le concessioni demaniali sono atti amministrativi con cui una pubblica amministrazione (in genere uno Stato, una Regione o un Comune) concede a un soggetto privato il diritto di utilizzare una parte del demanio pubblico per una determinata finalità, che può essere commerciale, turistica, edilizia, ecc. Il concessionario, in cambio, è tenuto a pagare un canone e a rispettare specifiche condizioni stabilite nell’atto concessorio. 

Il rapporto sussistente tra l’ente proprietario e il soggetto ammesso all’uso del bene è di tipo pubblicistico e prende il nome di rapporto di concessione. La concessione è necessaria quando l’uso del bene pubblico non è compatibile con l’utilizzo generale da parte della collettività (ad esempio, per attività commerciali o turistiche). L’uso del bene demaniale da parte del concessionario deve sempre rispondere a scopi che soddisfano un interesse pubblico (esempio: la gestione di stabilimenti balneari, porti, ecc.). 

Caratteristica dirimente che differenzia una concessione da un appalto è l’accettazione del “rischio economico”: quest’ultimo è principalmente a carico del concessionario, che può guadagnare in base al successo dell’attività concessa (ad esempio, incassando tariffe dagli utenti del servizio). Il concessionario assume quindi anche il rischio della gestione e dell’investimento, in quanto la remunerazione dipende dal risultato economico dell’attività (ad esempio, dal numero di clienti di un servizio pubblico). Inoltre, mentre nell’appalto l’appaltatore viene pagato per il lavoro svolto o per la fornitura di beni e servizi, secondo le modalità e i tempi concordati nel contratto, nella concessione la remunerazione è solitamente determinata in anticipo e non dipende dal successo economico dell’attività. Il controllo pubblico riguarda principalmente l’interesse generale, la qualità del servizio e il rispetto degli obblighi contrattuali.

Nei rapporti con i terzi, il concessionario assume una posizione di supremazia, in conseguenza del trasferimento delle funzioni pubbliche proprie della PA. Ciò implica che gli atti posti in essere dal concessionario hanno natura amministrativa e sono soggetti al relativo regime. Il soggetto privato, esercente pubblica funzione agisce sempre in nome proprio e, dunque, è responsabile degli atti e fatti illeciti compiuti.  

Il rapporto concessorio, infine, si estingue in via automatica, per scadenza del termine (quando la concessione è a tempo determinato o non è stata prorogata) ovvero a seguito di morte del concessionario o, ancora, per il venir meno dell’oggetto della concessione.

Evoluzione normativa

Il sistema delle concessioni demaniali ha subito una lunga evoluzione nel tempo che risale almeno agli anni ‘90, con il consolidarsi dei principi di trasparenza, concorrenza e non discriminazione. All’inizio, la gestione delle concessioni e degli appalti era regolata principalmente a livello nazionale, con norme che prevedevano contratti diretti tra le amministrazioni pubbliche e i privati.

In Italia, la disciplina delle concessioni ha sempre avuto un’impronta fortemente pubblicistica. 

La legge 109/1994 (legge Merloni) segnò un importante punto di partenza, introducendo i principi di trasparenza, pubblicità e concorrenza nelle procedure di affidamento. Una normativa fondamentale per rispondere all’ esigenza di uniformare la regolamentazione degli appalti in un’ottica di efficientamento della spesa pubblica e di contrasto alla corruzione.

Parallelamente, l’Italia, in quanto membra dell’UE e nel rispetto dell’art. 11 Cost.,  ha dovuto adattarsi a una serie di direttive europee che imponevano l’apertura degli appalti pubblici alla concorrenza internazionale, nel rispetto dei principi di libera prestazione dei servizi e divieto di discriminazione basata sulla nazionalità, sanciti dal Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE).

Nel quadro delle direttive europee, due normative principali hanno influenzato la regolamentazione degli appalti pubblici e delle concessioni:

  • Direttiva 92/50/CEE (poi sostituita dalla Direttiva 2004/18/CE), che si occupava degli appalti di servizi. Questa normativa mirava a garantire l’accesso ai contratti pubblici da parte di operatori economici provenienti da tutta l’Unione, imponendo una serie di obblighi di trasparenza, pubblicità e rispetto dei principi di concorrenza nelle gare.
  • Direttiva 2004/18/CE, che ha armonizzato le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, compresi quelli relativi alle concessioni di lavori e di servizi, stabilendo principi di apertura alla concorrenza, non discriminazione e parità di trattamento tra gli operatori economici.

L’introduzione della Direttiva Bolkenstein (Direttiva 2006/123/CE)

La Direttiva 2006/123/CE (c.d. Direttiva Bolkenstein) ha rappresentato una delle pietre miliari nell’evoluzione normativa riguardante la regolazione delle concessioni di servizi, poiché ha mirato a rimuovere le barriere che ostacolano la libera prestazione dei servizi tra gli Stati membri dell’Unione Europea.

Questa ha affrontato in modo specifico la questione delle concessioni di servizi, ritenendo che, in molti settori, l’affidamento a operatori privati tramite concessioni costituisse una limitazione alla libera concorrenza, specie quando venivano utilizzati strumenti pubblicistici che non garantivano l’accesso alle imprese europee.

Obiettivi principali della Direttiva Bolkenstein:

  • Libera circolazione dei servizi: La direttiva mira a semplificare e armonizzare le normative in modo da permettere una maggiore concorrenza tra le imprese, consentendo loro di offrire i propri servizi liberamente in tutti gli Stati membri dell’UE.
  • Regolamentazione delle concessioni: La Direttiva Bolkenstein ha introdotto misure che impongono un maggior rispetto della concorrenza anche nei contratti di concessione. Essa stabilisce che le concessioni debbano essere sottoposte a una normativa uniforme che garantisca la trasparenza e la non discriminazione.
  • Obbligo di pubblicità e trasparenza: È stato previsto un obbligo di pubblicità dei contratti di concessione, per assicurare che l’affidamento a un concessionario avvenga in modo aperto e trasparente.

Successivamente, la Direttiva 2014/23/UE si è concentrata sulle concessioni, stabilendo una regolamentazione più specifica per disciplinare gli appalti di concessioni di lavori e servizi, rispondendo alle criticità sollevate dalla Direttiva Bolkenstein.

La direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010 n. 59, integrato poi dal decreto legislativo 6 agosto 2012, n. 147.  

Il fulcro della direttiva, per quanto concerne la questione delle concessioni demaniali, è costituito dall’art. 12, il quale prevede che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento.  

In tali casi l’autorizzazione è rilasciata per una durata limitatamente adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico, né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami. Gli Stati membri, nello stabilire le regole della procedura di selezione, possono però tenere in considerazione elementi di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell’ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d’interesse generale conformi al diritto europeo. 

Principali modifiche introdotte dalla Direttiva 2014/123/UE:

  • Distinzione tra appalto e concessione: La Direttiva 2014/123 ha chiarito la distinzione tra contratti di appalto e contratti di concessione, imponendo regole specifiche per questi ultimi, in particolare per quanto riguarda le modalità di remunerazione del concessionario (ad esempio, la possibilità di utilizzare il modello di remunerazione basato sui ricavi derivanti dall’uso del bene o servizio).
  • Regole più precise per la pubblicità: Sono stati introdotti obblighi di pubblicità per le concessioni, affinché il processo di selezione sia il più trasparente possibile e rispetti i principi di concorrenza.

L’evoluzione normativa in Italia

In Italia, la disciplina delle concessioni e degli appalti è stata aggiornata con il Codice dei contratti pubblici (Decreto Legislativo 50/2016), che ha recepito le direttive europee, comprese la Direttiva 2014/23/UE. In questo contesto, il Codice ha operato una distinzione tra appalto e concessione, disciplinando in modo più dettagliato i contratti di concessione, sia per i lavori che per i servizi. Le principali novità ci sono state, però, con il nuovo Codice 2023 (Decreto Legislativo n. 36 del 2023) in tema di:

  • Semplificazione delle procedure: L’obiettivo di semplificare e velocizzare le procedure di affidamento è stato perseguito con l’introduzione di nuove misure che riducono gli oneri burocratici e velocizzano i processi di gara. Questo è particolarmente importante per le concessioni di beni pubblici, come quelli demaniali, che spesso sono oggetto di affidamenti a lungo termine.
  • Interventi sulla digitalizzazione: Il Codice ha rafforzato l’uso della digitalizzazione nelle gare d’appalto, promuovendo piattaforme online per la gestione delle procedure di aggiudicazione, aumentando la trasparenza e riducendo il rischio di corruzione e il conflitto di interessi.
  • Gestione delle concessioni demaniali: Una parte significativa delle modifiche ha riguardato la gestione delle concessioni demaniali, introducendo specifiche normative per l’assegnazione e il rinnovo delle concessioni marittime, un tema caldo nel contesto delle concessioni di beni pubblici.

Un tema centrale nel contesto delle concessioni demaniali in Italia, tuttavia, riguarda il rinnovo delle concessioni marittime, in particolare per quanto riguarda le concessioni balneari. La questione è stata sollevata in seguito alla sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (sentenza 14 luglio 2016, causa C-458/1 e C-67/15), che ha stabilito che le concessioni di beni pubblici, come quelle balneari, devono rispettare i principi di concorrenza e non discriminazione, prevedendo procedure di gara per l’assegnazione delle stesse, anziché automatici rinnovi o proroghe. Anche la Sentenza Promoimpresa (2016) è stata importantissima: ha stabilito, infatti, che il rinnovo automatico delle concessioni costituisce una restrizione alla libertà di stabilimento (art. 49 TFUE). 

In Italia, il dibattito sulle concessioni demaniali è stato particolarmente acceso soprattutto nel settore turistico-balneare.

Le criticità principali riguardano le proroghe reiterate in quanto, nonostante le sentenze europee, il legislatore italiano ha spesso prorogato le concessioni esistenti (da ultimo, sino al 2033 con la legge n. 145/2018), generando tensioni con la Commissione Europea. 

Questo ha comportato da un lato il rischio, per l’Italia, di pesanti procedure d’infrazione per non aver applicato pienamente la direttiva Bolkestein e dall’altro le enormi pressioni economiche e sociali. Gli operatori turistici balneari invocano una maggiore tutela dei loro investimenti, mentre i consumatori e gli enti europei chiedono maggiore trasparenza e concorrenza.

Il governo italiano sta valutando nuove normative per adeguarsi ai principi europei, con proposte di gare pubbliche che garantiscano equilibrio tra tutela degli operatori esistenti e apertura del mercato.

Il rinvio al 2033 e le Sezioni Unite della Corte di Cassazione

E’ evidente, dunque, la centralità e l’importanza del problema della proroga delle concessioni demaniali marittime al 2033. Questo aspetto è stato oggetto di interpretazioni divergenti tra la giurisprudenza nazionale e le direttive europee. 

Invero, ciò che ha determinato i forti contrasti, soprattutto a livello unionale, è stata la sussistenza fino ad un’epoca abbastanza recente, nell’ambito dei beni pubblici, del cd diritto di insistenza.  

Il diritto di insistenza è una situazione giuridica soggettiva di cui può essere titolare il concessionario di un bene pubblico. Consiste in una preferenza, accordata al precedente concessionario, rispetto agli altri concorrenti nel momento in cui l’amministrazione, dopo la scadenza della concessione, deve procedere alla nuova assegnazione del bene.  

Orbene, per procedere all’assegnazione dell’uso di un bene o servizio, necessaria è l’indizione, da parte della PA, di una procedura competitiva. È evidente, pertanto, il contrasto tra il diritto di insistenza e l’esigenza di procedere ad un’assegnazione del bene pubblico tramite regole di tutela della concorrenza.  

Il problema si è posto, soprattutto, con riguardo all’art. 37 cod. nav. (oggi abrogato e sostituito dall’art. 7 co.2, dl. n. 194/09) in quanto, l’articolo in questione concedeva preferenza alle precedenti concessioni già rilasciate in sede di rinnovo rispetto alle nuove istanze.  

Il Consiglio di Stato, già prima dell’abrogazione della norma ivi descritta, accordava all’art. 37 cod. nav. un’interpretazione che privilegiava l’esperimento della gara per il rinnovo di concessioni di beni demaniali con l’obiettivo di comprimere ai minimi termini il diritto di insistenza del concessionario in scadenza. 

Tale approccio nasceva dall’esigenza di adeguare il diritto interno ai principi dell’Unione Europea, nella specie in materia di libera circolazione dei servizi, della par condicio, d’imparzialità e di trasparenza. Tali principi fungono da importanti limiti perché con le concessioni si forniscono ottime occasioni di guadagno ai soggetti che operano sul mercato.  

Quanto detto, chiaramente, ha giustificato la successiva abrogazione dell’art. 37 cod. nav., avventa all’esito di una procedura d’infrazione14 operata nei confronti dello Stato Italiano per violazione del diritto dell’UE.  

La disciplina della proroga delle concessioni demaniali marittime, in assenza del preventivo esperimento di una procedura ad evidenza pubblica, è stata introdotta dapprima con l’art. 1, comma 2 del d.l. 5 ottobre 1993, n. 400, come sostituito dall’art. 10, comma 1, della l. 88 del 2001, mediante il quale veniva fissata la durata della concessione in sei anni, con rinnovo automatico alla scadenza per altri sei anni15 e così successivamente ad ogni scadenza. 

La ratio sottesa a questa norma, poi abrogata dall’art. 11, comma 1, l. 217/2015, è stata ripresa da diverse disposizioni nazionali nel corso degli anni. In un primo momento, dalla l.221/2012, di conversione del d.l. 179/2012, che ha prorogato sino al 31 dicembre 2020 la validità delle concessioni demaniali marittime in atto e, successivamente dall’art. 1, comma 682, l. 145/2019, che ne ha esteso la portata sino al 31 dicembre 2033.  

Con la legge di conversione del decreto c.d. “Rilancio” (l. 77 del 17 luglio 2020), il legislatore italiano è intervenuto sul tema, rafforzando, nuovamente, il prolungamento dei titoli sino al 2033, a condizione che vi fosse una specifica volontà da parte della pubblica amministrazione di indire gare per l’assegnazione delle concessioni.

La Corte di Cassazione, poi, è intervenuta a Sezioni Unite (sentenza n. 2144/2023), per dirimere il conflitto interpretativo sulla legittimità di questa proroga. La Suprema Corte ha stabilito che il rinvio automatico delle concessioni al 2033 non viola i principi di concorrenza e di parità di trattamento, a condizione che, nei casi specifici, vengano rispettati i diritti degli operatori economici e vengano attivate procedure di gara per garantire un sistema aperto e competitivo, come richiesto dalla Direttiva Bolkenstein.

Le implicazioni della sentenza 2144/2023:

  • Conferma del principio di concorrenza: La Corte ha confermato che la proroga delle concessioni deve essere compatibile con i principi di libera concorrenza e di trasparenza.
  • Ruolo delle amministrazioni pubbliche: Le amministrazioni devono attivare le gare in modo tempestivo, garantendo che il mercato sia aperto a nuove imprese. Ciò implica una revisione delle concessioni e, ove possibile, l’introduzione di gare pubbliche trasparenti.

Questa sentenza ha segnato un punto di equilibrio tra le necessità di stabilità per gli operatori economici già titolari di concessioni e le esigenze di riforma per favorire la concorrenza, in linea con le direttive europee.

Prospettive future e conclusioni

L’evoluzione normativa in Italia, in particolare con l’introduzione del Nuovo Codice dei contratti 2023, rappresenta un passo importante verso l’integrazione delle normative europee e la promozione di un sistema di concessioni più competitivo e trasparente. Tuttavia, la questione del rinnovo delle concessioni demaniali marittime, e in particolare le concessioni balneari, rimane centrale.

Il caso delle proroghe al 2033 e le interpretazioni giuridiche sulla compatibilità di tale proroga con i principi di diritto europeo indicano che in futuro sarà necessaria una regolamentazione sempre più attenta al rispetto dei principi di concorrenza, trasparenza e pubblicità delle procedure, con un forte controllo da parte delle autorità europee e nazionali.

Il Codice 2023 dovrà continuare a rispondere a questa sfida, bilanciando le esigenze di stabilità e continuità nelle concessioni con l’obiettivo di aprire sempre più il mercato a nuovi operatori, nel rispetto del diritto europeo.

Conclusioni

La situazione delle concessioni demaniali in Italia è influenzata dall’adeguamento alla normativa europea e da una nuova proroga introdotta dal Decreto Legge n. 131 del 16 settembre 2024, emanato per rispondere a procedure d’infrazione dell’UE, come la n. 2020/4118, e mira a garantire trasparenza e conformità alle direttive comunitarie.

Le concessioni attuali, con finalità turistico-ricreative, sono state prorogate fino al 30 settembre 2027, estendendo i termini originariamente fissati al 31 dicembre 2024. Questa proroga è motivata dalla necessità di gestire in modo ordinato le procedure di affidamento delle nuove concessioni attraverso gare pubbliche, garantendo nel contempo la validità delle concessioni già assegnate.

Nel caso in cui ragioni oggettive, come contenziosi o difficoltà procedurali, impedissero il completamento delle gare entro il 2027, le concessioni esistenti potrebbero essere ulteriormente prorogate fino al 31 marzo 2028.

Dal 2024 è previsto che tutte le concessioni demaniali siano assegnate tramite gare ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza. Le regole introdotte puntano a un uso razionale e sostenibile del demanio marittimo, bilanciando aree in concessione e spazi liberi, con l’obiettivo di promuovere un maggiore dinamismo concorrenziale e migliorare la qualità dei servizi per i consumatori.

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti è incaricato di monitorare e riferire sullo stato delle gare, con relazioni previste nel 2027 e 2028 per garantire la piena attuazione delle nuove normative.

In conclusione, l’evoluzione normativa delle concessioni e degli appalti pubblici, a partire dalla Direttiva Bolkenstein (2006), ha avuto un impatto profondo sulla regolamentazione dei contratti di concessione di servizi in Europa. Le modifiche legislative, culminate nella Direttiva 2014/23/UE e nel Codice degli appalti italiano (2023), hanno reso il quadro normativo più trasparente, concorrenziale e orientato alla rimozione delle barriere agli scambi tra gli Stati membri.

L’importanza della Direttiva Bolkenstein risiede soprattutto nell’avere spinto per una maggiore apertura dei mercati dei servizi all’interno dell’Unione Europea, e nell’aver sollevato questioni cruciali riguardo al bilanciamento tra il diritto di uno Stato di regolamentare i suoi settori economici e la necessità di garantire la concorrenza leale.

Questa evoluzione normativo-giuridica rispecchia un movimento più ampio verso un mercato interno europeo più integrato, ma anche la crescente necessità di conciliare l’efficienza gestionale con la protezione degli interessi pubblici. È evidente che la vicend, non si concluderà nel breve termine. Si resta, però, in attesa di nuovi interventi normativi auspicando, comunque, una risoluzione improntata ai principi europei.